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La passione della danza in Italia: ballerine e ballerini grazie alla TV, ma non solo

Programmi come Ballando sotto le stelle, Amici, Danza con me, Campioni di ballo, Italian Academy, Il ballo delle debuttanti e tantissimi altri non hanno solo democratizzato il ballo, portandolo nelle prime serate di buona parte delle famiglie italiane. Lo hanno anche sdoganato, facendone un’attività non più riservata esclusivamente al genitl sesso, ma anche, finalmente, ai maschi di tutte le età.

Ecco, allora, che, grazie alla caparbietà di conduttrici come Maria de Filippi, oggi, finalmente, non sembra più strano vedere un bambino, ma anche un ragazzo, con la calza maglia e le scarpine da ballo. Fino a un decennio fa o poco più, il fenomeno era ancora estremamente poco frequente e i maschi che amavano danzare nascondevano la loro passione o se ne vergognavano di fronte ai compagni di scuola, più propensi a discipline e sport prettamente maschili, come il calcio o le arti marziali.

Ma, appunto, la diffusione, sul principale mezzo di comunicazione di massa, di trasmissioni interamente dedicate alla danza, hanno fatto emergere un mondo e una passione, che non sono mai scomparsi nemmeno dall’animo umano maschile. Del resto, la danza è stata, sin dalle origini della razza umana, una delle prime forme di comunicazione e di espressione degli stati d’animo ...

I programmi televisivi dedicati alla danza sono stati collocati dapprima nelle fasce orarie pomeridiane, quelle riservate ai più piccoli, agli adolescenti e alle mamme casalinghe. Poi, mano a mano che il successo si è consolidato, sono stati spostati nei momenti della serata con maggior share televisivo, segno, questo, che la danza ha iniziato ad intrigare anche i padri, che, anche nelle famiglie più tradizionaliste, hanno dato il loro ok affinché i figli andassero a ballare.

Sembra, insomma, di rivedere un vecchio film, in cui un padre minatore vorrebbe che il figlio si dedichi alla boxe, mentre lui, il ragazzino undicenne, ama solo danzare: solo dopo che il genitore lo vede danzare, capisce quale sia il vero destino del figlio e impiega tutte le proprie risorse per consentirgli di entrare in una prestigiosa scuola. Il film in questione è Billy Elliot, commovente pellicola, che unisce le tematiche dello scarto generazionale, dei mutamenti della società, dell’omosessualità e della presa in mano del proprio destino.

Il ballo, la formazione e la competizione

Se trasmissioni come Amici hanno avuto e continuano ad avere tanto successo, probabilmente è perché riescono ad intrecciare sullo stesso piano diversi elementi.

Quello cui ruota attorno tutto quanto è, ovviamente il ballo: le persone a casa amano guardare i ragazzi e le ragazze danzare; le coreografie sono studiate per avvincere, le melodie su cui vengono mossi i passi dai danzatori sono moderne e accattivanti, sempre molto orecchiabili; i costumi stessi, anche quando si tratta di semplici tute, sembrano studiati per uniformare tutti allo stesso livello, proprio come in un college inglese o in una scuola. Insomma, siamo lontani alcuni decenni (e, quindi, anche concettualmente) dalle calzamaglie e dalle t-shirt aderenti con cui Leroy Johnson attraeva gli sguardi delle studentesse degli anni successivi al suo. Ma ieri, come oggi, si tratta di una scuola di ballo!

Ecco, appunto: raramente questi talent show si limitano ad essere solo una platea in cui esibirsi; più spesso, grazie ad una serie di tutor, di consiglieri, di maestri professionisti, diventano una scuola di formazione di ballo. Certo, nessuno immagina che i ragazzi partano da zero: anzi, i provini per entrare nel cast sono probabilmente molto duri e selettivi, dato e considerato che la concorrenza è di certo agguerrita. Ma anche quando le ore di programma trasmesse in TV non mostrano i faticosi allenamenti dei ballerini, è facile immaginare quante giornate i ragazzi stessi trascorrano a provare e riprovare, a correggere gli errori e a seguire i consigli di professionisti del ballo, prestati allo share TV.

L’ultimo elemento che si intreccia con i due precedenti, alla ricerca di un quadro completo, che consenta il raggiungimento del successo televisivo del programma, è l’aspetto legato strettamente alla competizione. La competizione è il motore, allo stesso tempo, delle dinamiche interne al programma e dell’attenzione del grande pubblico, catturato dalle gare delle singole giornate e dalla finale di fine stagione. Chi, guardando i talent show, non ha mai parteggiato per questo o per quel concorrente? Chi non ha mai sospirato di dispiacere quando il proprio preferito è caduto dopo un salto o, peggio, non ha superato il turno? E chi non ha fatto salti di gioia sul divano di casa, quando colui per cui si tifava è arrivato in finale?

L’origine dell’uomo ballerino

Ma se è vero, come abbiamo detto poco prima, che il ballo è un impulso naturale, primordiale nell’uomo, sin dall’antichità; e se è altrettanto vero che la società maschilista ha relegato la danza all’universo femminile, considerandola un’attività assai poco virile; … allora, quando è successo che questo muro di pregiudizi e ignoranza sia stato infranto?

Tutto è successo agli inizi degli anni Sessanta, quando Rudolf Nureyev è entrato all’Opera di Parigi dalla porta principale: le sue grandissime prestazioni sui più importanti palcoscenici di tutto il mondo e la perfezione dei suoi movimenti ne hanno fatto il miglior ballerino di tutti i tempi. Ed è stato grazie al successo ottenuto che il ballerino russo è riuscito ad imporre le proprie coreografie, in cui, per la prima volta, il ruolo dell’uomo passava da quello di semplice porteur a quello di protagonista assoluto. La rivoluzione di Nureyev è una di quelle che non incontrano opposizioni e, nel corso degli anni successivi, in tutti i teatri del mondo, l’uomo ha preso progressivamente piede, acquisendo un’importanza di un certo rilievo. Fino ad arrivare al punto in cui Il lago dei cigni viene presentato con soli ballerini maschi! Inaudito fino a poco tempo prima.

Il passaggio di consegne: da Nureyev a... !

Succede, poi, che in una sala prove vuota della Scuola di ballo del Teatro alla Scala di Milano, in un freddo giorno di dicembre del 1990, un ragazzino di appena quindici anni si attardi da solo a fare qualche esercizio, dopo che tutti i suoi compagni di corso se ne sono già andati a casa. Succede che, all’improvviso, in quella stessa sala, entri proprio Rudolf Nureyev (a Milano in quei giorni per perfezionare la sua coreografia de Il lago dei cigni di Cajkovskij), per vedere cosa sappia fare quel quindicenne in calzamaglia. E succede che questo incontro, nonostante alcune piccole correzioni, rappresenti una sorta di provino per il ruolo di Tazio, in La morte a Venezia. Succede, ancora, che quello stesso ragazzino, vincolato da un contratto al Teatro alla Scala non ottenga il permesso di andare a Verona ad esibirsi con il mitico ballerino russo e se ne rammarichi. Ma succede che lo stesso quindicenne diventi comunque, anche grazie a questo incontro degno di un film, un grandissimo danzatore, oggi noto a tutti gli italiani e non solo.

Quanti tra i ragazzi, oggi, guardano i talent show alla TV? Quanti tra quelli, maschi e femmine, dai cinque anni ai sedici e anche più, si allenano a fondo, tutte le settimane, a volte tutti i giorni, per preparare il saggio di fine anno o per preparare un esame di ammissione in una scuola più prestigiosa nella città più vicina? Quanti devono lottare con i propri padri o le proprie madri, che li preferirebbero campioni di calcio, sport dall’immensa notorietà e dai compensi molto più elevati di quelli da fame proposti ai danzatori? Quanti, ogni volta che la porta della palestra si apre, si girano per accertarsi se un grande ballerino sia venuto a proporgli un’audizione?

A proposito: il quindicenne che incontrò casualmente Nureyev alla Scala era Roberto Bolle!

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